Pietro Metastasio L'isola disabitata Drama per musica Pietro Metastasio L'isola disabitata Drama per musica Personaggi Personaggi Costanza, moglie di Gernando Silvia, sua minor sorella Enrico, compagno di Gernando Gernando, consorte di Constanza Argomento Argomento. Navigava il giovane Gernando colla sua giovanetta sposa Costanza, e con la picciola Silvia ancora infante di lei sorella, per raggiungere nell' Indie Occidentali il suo genitore, a cui era commesso il governo di una parte di quelle; quando da una lunga, e pericolosa tempesta fu costretta a discendere in un' Isola disabitata, per dar agio alla bambina ed alla sposa di ristorarsi in terra dalle agitazioni del mare. Mentre queste placidamente riposavano in una nascosta grotta, che loro offerse commodo, ed opportuno ricetto, l'infelice Gernando non alcuni de' suoi seguaci fu sorpresso, rapito, e fatto schiavo da una numerosa schiera di Pirati barbari, che ivi sventuratamente capitarono. I suoi compagni, che videro dalla nave confusamente il tumulto, e crederono rapite con Gernando la bambina, e la sposa, si diedero ad inseguire i predatori; ma perduta in poco tempo la traccia, ripresero sconsolati il loro interrotto cammino. Desta la sventurata Costanza, dopo aver cercato lungamente in vano il suo sposo, e la nave, che l'avea colà condotta, si credè, come Arianna, tradita, ed abbandonata dal suo Gernando. Quando i primi impeti del suo disperato dolore cominciarono a dar luogo al naturale amor della vita, si rivolse ella, come saggia, a cercar le vie di conservarsi in quella abbandonata segregazion de' viventi; ed ivi dell' erbe, e della frutta, onde abbondava il terreno, si andò lunghissimo tempo sostenendo con la picciola Silvia, ed inspirando l'odio, e l'orrore da lei concepito contro tutti gli uomini all' innocente, che non gli conosceva. Dopo tredici anni di schiavitù, riuscì a Gernando di liberarsi. La prima sua cura fu di tornare a quell' Isola, dove avea involontariamente abbandonata Costanza; benchè senza alcuna speranza di ritrovarla in vita. Parte prima Scena prima Scena prima. Qual contrasto non vince L'indefesso sudor! Duro è quel sasso; L'istromento è mal atto; Inesperta è la mano; e pur dell' opra Eccomi al fin vicina. Ah sol concedi, Ch'io la vegga compita; E da sì acerba vita Poi mi libera, o Ciel. Se mai la sorte Ne' dì futuri alcun trasporta a questo Incognito terreno, Dirà quel marmo almeno Il mio caso funesto, e memorando. Dal traditor Gernando. Legge. Costanza abbandonata i giorni suoi In questo terminò lido straniero. Amico passeggiero, Se una tigre non sei, O vendica, o compiangi. ... I casi miei. Questa sol manca. A terminar s'attenda Dunque l'opra, che avanza. Torna al lavore. Scena II Scena II Silvia frettolosa, ed allegra, e detta. Ah germana! Ah Costanza! Che avenne, o Silvia? Onde la gioia? Io sono Fuor di me di piacer. Perche? La mia Amabile cervetta, In van per tanti dì pianca, e cercata, Da se stessa è tornata. E cio ti rende Lieta così? Poco ti pare? E' quella La mia cura, il sai pur, la mia compagna, La dolce amica mia. M'ama; m'intende; Mi dorme in sen; mi chiede i baci; e sempre Dal mio fianco indivisa in ogni loco; La perdei; la ritrovo; e ti par poco? Che felice innocenza! Torna al lavoro. E ho da vederti Sempre in pianti, o germana? E come il ciglio Mai rasciugar potrei? Già sette volte, e sei L'anno si rinnovò, da che lasciata In sì barbara guisa, Da' viventi divisa, Di tutto priva, e senza speme, oh Dio! Di mai tornar su la paterna arena, Vivo morendo; e tu mi vuoi serena? Ma pur le belle Contrade, che tu vanti, D'uomini son feconde, e questi sono La spezie de' viventi Nemica a noi; tu mille volte, e mille Non mi dicesti. ... Ah sì, tel dissi, e mai Non tel dissi abbastanza. Empj, crudeli, Perfidi, ingannatori, D'ogni fiera peggiori, Che fia pietà, non sanno; Piange. Non conoscon, non hanno, Nè amor, nè fè, nè umanità nel seno. E ben da lor quì siam sicure almeno. Ma ... Tu piangi di nuovo! Ah; no se m'ami, Non t'affliger così. Che far poss'io, Cara, per consolarti? Brami la mia cervetta? Asciuga il pianto, E in tuo poter rimanga. Ah troppo, o Silvia mia, giusto è, ch'io pianga. Se non piange un' infelice Da' viventi separata, Dallo sposo abbandonata, Dimmi, oh Dio, chi piangera? Chi può dir, ch'io pianga a torto, Se nè men sperar milice Questo misero consorto D'ottener l'altrui pietà? Scena III Scena III. sola. Che ostinato dolor! Quel pianger sempre Mi fa sdegno, è pietà. Prego, consiglio, Sgrido, accarezzo, ed ogni sforzo è vano. Ma l'enigma più strano è, che, qualora Consolarla desìo, Il suo pianto s'accresce, e piango anchio. Seguiamo almeno i passi suoi. ... Nel vole partire s'avvede della nave. Ma .... quale Sorge colà sul mar mole improvvisa? Uno scoglio non è. Cangiar di loco Un sasso non potrebbe. E un sî gran mostro Come va sì leggier! L'acqua divisa Fa dietro biancheggiar! Quasi nel corso Allo sguardo s'invola, porta l'ali sul dorso, e nuota, e vola! A Costanza si vada; Ella saprà, se un conosciuto è questo Abitator dell' elemento infido; E almen. ... Nel partire vede non veduta Gernando, ed Enrico. Misera me! Gente è sul lido. Che fo? Chi mi soccorre? Ah. ... di spavento Così ... son io ripiena ... Che a fuggir ... che a celarmi ... ho forza appena. Si nasconde fra' cespugli. Scena IV Scena IV. Gernando, Enrico, e Silvia in disparte. Ma sarà poi, Gernando, Questo il terren, che cerchi? Ah sì; nell' alma Dipinto mi restò per man d'amore; E co' palpiti suoi l'afferma il core. (Potessi almen veder quei volti.) E molto Facile errar. No, caro Enrico; è desso; Riconosco ogni sasso. Ecco lo speco, Dove in placido obblio con Silvia in braccio Lasciai l'ultima volta La mia sposa, il mio ben, l'anima mia; E mai più non la vidi. Ecco, ove fui Da' Pirati assalito; Qua mi trovai ferito; Là mi cadde l'acciaro. Ah caro amico, Ogni indugio è delitto; Andiam. Tu da quel lato, Da questo io cercherò. L'isola è angusta; Smarrirci non possiam. Poca speranza Ho di trovar Costanza; Ma l'istesso terreno, Ch'è tomba a lei, sarà mia tomba almeno. Parte. Scena V Scena V. Enrico, e Silvia in disparte. (Nulla intender poss' io.) Tenero in vero E' il caso di Gernando. Appena è sposo, Dee con la sua diletta Fidarsi al mar. Fra gl' inquieti flutti Languir la vede; a ristorarla in questa Spiaggia discende; ella riposa, ed egli Da barbari rapito, Tratto a contrade ignote, In servitù vive tant' anni, e senza Notizia più del sospirato oggetto. (Pur si rivolse al fin. Che dolce, aspetto!) Parla a ciascun l'umanità per lui, L'obbligo a me. La libertà gli deggio, Primo dono del Ciel. Spietato ogn' altro Sarebbe; ingrato io sono, Se manco a lui. D'abborimento è degna Ogn' anima spietata; Ma l'orror de' viventi è un' alma ingrata, Chi nel camin d'onore Stanca sudando il piede Per riportar mercede D'un nobile sudor Non palpita, non langue Per lui spargendo il sangue E' cento rischi e cento Và lieto ad incontrar. Scena VI Scena VI. sola. Che fu mai quel, ch'io vidi? Un uom non è: gli si vedrebbe in volto La ferocia dell' alma. Empj, crudeli Gli uomini sono, e di ragione avranno Impresso nel sembiante il cor tiranno. Una donna nè pure; avvolto in gonna Non è, come noi siam. Qualunque ei sia, E' un amabile oggetto. Alla germana A dimandarne andrò ... Ma il piè ricusa D'allontanarsi. Oh stelle! Chi mi fa sospirar? Perchè sì spesso Mi batte il cor? Sarà timor. Nò; lieta Non sarei, se temessi. E' un altro affetto Quel non so che, che mi ricerca il petto. Fra un dolce deliro Son lieta, e sospiro; Quel volto mi piace, Ma pace non ho. Di belle speranze Ho pieno il pensiero; E pur quel, ch' io spero, Conoscer non so. Parte. Parte seconda Scena VII Scena VII. Gernando solo indi Enrico. Ah presaga fu l'alma Die sue sventure. In van m'afretto; in vano Cerco, chiamo, m' affanno; un' orma, un segno Dell' idol mio non trovo. Ov'è l'amico? Forse ei più fortunato. .... Enrico. .... Enrico? Cerchisi. .... Oh Dio, non posso; oh Dio, m'opprime La stanchezza, e il dolor! La su quel sasso Si respiri, e si attenda. ... Nell' oppressarsi vede l'iscrizione. Come? Note Europee? Stelle! Il mio nome? Chi vel' impresse? E quando? Legge. Del traditor Gernando Costanza abbandonata i giorni suoi In questo terminò lido straniero ... Io manco. Ah mi conforta. Sai, Costanza ove sia? Costanza è morta. Appoggiato al sasso. Come! Leggi. Infelice! Legge piano le prime parole, e poi esclama. I giorni suoi In questo terminò lido straniero. Amico passeggiero, Se una tigre non sei, O vendica, o compiangi ... Appien compita L'opra non è. Non le bastò la vita. Oh tragedia funesta! Ah piangi, amico; Le lagrime son giuste. Io t'accompagno, T'accompagnano i sassi. Aria. Non turbar, quand' i mi lagno, Caro amico, il mio cordoglio; Io non voglio altro compagno, Che il mio barbaro dolor. Qual conforto in questa arena Un amico a me saria? Ah la mia nella sua pena Renderebbesi maggior. Parte. Scena VIII Scena VIII. Enrico e Silvia. Dov' è Costanza? Io non la trovo. A lei. ... Che miro! Ascolta, Bella Ninfa. Ah di nuovo Tu sei qui! Perchè fuggi? Odi un momento. Che vuoi da me? Solo ammirarti, e solo Teco parlar. Prometti Di parlarmi da lungi. Io lo prometto (Che sembiante gentil!) (Che dolce aspetto!) Ma di tanto spavento Qual cagione in me trovi? Al fin non sono Un aspide, una fiera. Un uomo al fine Render non ti dovria così smarrita. Un uomo sei dunque? Un uom. Soccorso! Aita! Ferma. Pietà, mercè! Nulla io ti feci: Non essermi crudel. Deh sorgi, o cara; Cara, ti rassicura. Ah mi trasigge Quell' ingiusto timore. (Ch'io mi fidi di lui, mi dice il core.) Di', se cortese sei, come sei bella; La povera Costanza Dove, quando restò di vita priva? Costanza? Lode al Ciel, Costanza è viva. Viva! A Silvia gentil, che al sito, agli anni Certo Silvia tu sei, corri a Costanza. A Gernando io frattanto ... Ah dunque è teco Quel crudel, quell' ingrato? Chiamalo sventurato, Ma non crudele. Ah non tardar; sarrebbe Tirannia differir la gioie estreme Di due sposi sì fidi. Andiamo insieme. No; se insieme ne andiam, bisogna all' opra Tempo maggior. Va. Quì con lei ritorna; Con lui quì tornerò. Senti; e il tuo nome? Enrico. Odimi. Ah troppo Non trattenerti. Onde la fretta, o cara? Non so. Mesta io mi trovo Subito, che mi lasci; e in un momento Poi rallegrar mi sento, allor che torni. Ed io teco vivrei tutti i miei giorni. Scena IX Scena IX. sola. Che mai m'avvene! Ei parte, E mi resta presente? Ei parte, ed io Pur sempre col pensier lo vo seguendo? Perchè tanto affannarmi? Io non m'intendo. Come il vapor s'accende Inaria a poco a poco, Così l'ardente fuoco S'accresce nel mio cor. Ohime! che fuoco orribile! Che fiera smania è questa Tiranno amor t'arresta, Non tanta crudeltà! Scena X Scena X. sola. Ah che in van per me pietoso Fugge il tempo, e affretta il passo; Cede agli anni il tronco, il sasso, Non invecchia il mio martir. Non è vita una tal sorte; Ma sì lunga è questa morte, Ch' io so stanca di morir. Già che da me lontana L'innocente germana Mi lascia in pace, al doloroso impiego Torni la man. Scena XI Scena XI. Gernando, e detta. Gia che il pietoso amico Lungi ha rivolto il passo, Quell' adorato sasso Si torni a ribaciar. Ma ... Chi è colei? Donde venne? Che fa? Tu sudi, e forse Resterà sempre ignoto, Infelice Costanza, il tuo lavoro. Costanza? Ah sposa! Ah traditore! Io moro. Mio ben. Non ode. Oh Dio! Perdè l'uso de' sensi. Ah qualche stilla Di fresco umor. ... Dove potrei. ... Si, scorre Non lungi un rio, poc' anzi il vidi. E deggio L'idol mio cosi solo Abbandonar? Ritornerò di volo. Parte in fretta. Scena XII Scena XII. Enrico, e Costanza svenuta. Ignora il caro amico Le sue felicita. Da me s'asconde, Rinvenirlo non so ... Ma fu quel sasso Una Ninfa riposa! Silvia non è; dunque è Costanza. Oh come Ha pien di morte il volto! Aimè! Costanza? Lasciami. Ah del tuo sposo Vive all'amor verace. Lasciami, traditor, morire in pace. Io traditor? Non mi conosci. Oh stelle! Gernando ov'è? Tu non sei più l'istesso? Ho sognato poc'anzi, o sogno adesso? Non sognasti, e non sogni. Il tuo Gernando Vedesti, a quel, che ascolto. Di lui l'amico or vedi. E mi ritorna innanzi? Ei, che ha potuto Lasciarmi in abbandono? Ah l'infelice Non ti lasciò; ma fu rapito. Quando? Quando immersa nel sonno Tu colà riposavi. Chi lo rapì? Di barbari pirati Un assalto improvviso. Et si difese, Ma nella man ferito Perdè l'acciaro; il numero l'oppresse, E restò prigionier. Masino ad ora ... Masino ad or non ebbe Libero, che il pensiero; e a te vicino Col suo pensier fu sempre. Oh Dio, qual torto, Mio Gernando, io te feci! Scena ultima Scena ultima. Gernando e Silvia da diverse parte. In queste braccia, o cara. Ed è vero? E non sogno? Gernando è meco? Ho la mia sposa accanto? Quegli amplessi, quel pianto, Quegli accenti interrotti Mi fanno intenerir. Che pensi, Enrico? Di te Gernando è più gentile. Osserva, Com' ei parla a Costanza; E tu nulla mi dici. Eccomi pronto, Se pur caro io ti sono, A dir ciò, che tu vuoi. Se mi sei caro? Più della mia cervetta. E ben mi porgi Dunque la man; sarai mia sposa. Io sposa? Oh questo no. Sarei ben folle. In qualche Isola resterei A passar solitaria i giorni miei. No, Silvia, il mio Gernando Non mi lasciò, tutto saprai. Non sono Gli uomini, come io dissi, Inumani, ed infidi. Quando Enrico conobbi, io me ne avvidi. A torto gli accusai. Dell' error mio Or mi disdico. E mi disdico anch'io. Sono contento appieno Appresso al caro bene, Mi scordo le mie pene, Mi scordo il sospirar. Che più sperar poss' io Or che il mio ben trovai, Accanto a suoi bei rai, Io resto a giubilar. Se dal mio core i moti Caro vedessi oh Dio, Vedresti Idolo mio, Quanto ti sappia amar. Prendi d'amore in pegno, Cara la man di sposo, Più fido ed amoroso Di me non puoi trovar. Di due Cori inamorati Serba amore i laci amati. Ne soffrir ch'entri lo sdegno Teco il regno a disturbar. Cari affanni! Dolci pene! Ah! Costanza! Caro bene! Silvia cara! Oh! quel contento! Cara sposa! Oh bel momento! COSTANZA, GERNANDO, SILVIA, ENRICO. Oh giorno fortunato! Oh! giorno di contento! Andiamo le vele al vento, Andiamo a giubilar. Il fine.